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Inclusività a 360 gradi

Diciamolo sottovoce per evitare confronti fuori luogo con altre discipline ma (forse) lo sport dell’inclusione a 360 gradi esiste davvero perché tutti, ma proprio tutti, possono giocarvi indipendentemente dalle abilità, dal livello e dalla propensione fisica.

Sembra impossibile? Non lo è affatto

Questo sport si chiama Baskin e – come lascia ben intendere il nome – è una rivisitazione della classica pallacanestro in chiave inclusiva (Bask – In). La disciplina nasce a Cremona circa 15 anni fa per l’intuizione di un insegnante di ginnastica e il genitore di una ragazzina disabile i quali si chiesero come fare a coinvolgere la ragazza nelle attività durante le ore di educazione fisica. Trovarono nel basket lo sport che, con le dovute modifiche, si sarebbe ben prestato ad adattarsi a questa situazione. Da qui nasce il Baskin e da qui nasce il concetto di inclusione che questo sport in continua evoluzione ha assimilato come la cifra che lo contraddistingue.

«A Baskin possono giocare tutti – spiega Carlo Cesani, presidente del “Baskin Bergamo” – maschi e femmine, disabili e normodotati, bravi e meno bravi, giovani e adulti; tutti nella stessa squadra e nello stesso momento. Si tratta di accettare la diversità di chi gioca al tuo fianco e trasformarle in una ricchezza».

BASKIN BERGAMO, UN PROGETTO DI INCLUSIONE

Il “Baskin Bergamo” è una progetto dell’Excelsior Multisportiva nato 3 anni fa in collaborazione con l’Assessorato allo Sport del Comune di Bergamo e la UISP. Ad oggi è un gruppo composto da 41 giocatori di cui 17 con disabilità di diverso tipo che partecipa ad un campionato territoriale. In totale sono addirittura nove le squadre sparse sul territorio bergamasco che praticano questo sport.

«Per consentire a tutti di potervi giocare è risultato necessario modificare gli spazzi e gli strumenti classici della pallacanestro – prosegue Cesani -. Il campo di Baskin infatti si compone di altri due canestri e altre due aree a metà campo nelle quali stazionano i pivot, cioè quei giocatori che non riuscirebbero a reggere il gioco a tutto campo (ad esempio i ragazzi in sedia a rotelle) ma che, grazie a queste modifiche, possono comunque prendere parte alla partita». 

Anche i ruoli sono determinanti nel Baskin perché suddividono la squadra in base alle capacità di ogni singolo giocatore: non si parla di playmaker, guardia o ala ma, in questa rivisitazione della pallacanestro, si passa dal numero 5 – che è il giocatore più abile ed esperto – al numero 1 ovvero i ragazzi con meno capacità motorie e fisiche. «Ma la bellezza di questo sport è che i nostri giocatori vedono concretamente i propri miglioramenti e ne sono orgogliosi – sottolinea sempre Cesani -. Noi abbiamo in squadra un ragazzo autistico che fino all’anno scorso era un ruolo 3 ma che ora gioca come ruolo 4 perché con costanza e determinazione ha migliorato le sue prestazioni e il suo livello. Questi sono i grandi risultati che riusciamo ad ottenere, non vincere le partite ma migliorare le relazioni e l’autostima delle persone».

Si capisce bene come dietro tutto questo ci sia un valore decisivo: il riscatto personale e sociale di alcuni ragazzi che, con queste modalità di condivisione, si sentono responsabilizzati e, soprattutto, si sentono veramente protagonisti dei risultati ottenuti dalla squadra. 

Ce lo conferma Cristina Locatelli, mamma di Federico, un ragazzino di 11 anni affetto da una malattia neurodegenerativa: «Il confronto con i compagni di scuola risultava parecchio pesante a Federico per via delle sue difficoltà motorie, finché non abbiamo scoperto il Baskin. In questo contesto lui si è sentito accettato ed enormemente stimolato perché questo è uno sport a tutti gli effetti: con delle regole, con le dinamiche di squadra e di gruppo, con degli obiettivi ben precisi e con del sano agonismo».


Se è vero che lo sport ha qualcosa da dire perché va oltre l’attività in sé, perché racconta storie di successi e di riscatto, allora il Baskin ha tanto da raccontare; la bella testimonianza di Loris Rota, ad esempio, un ragazzino in sedia rotelle che frequenta la seconda media a Sedrina e che parteciperà con la squadra della sua scuola ai campionati nazionali studenteschi: «Mi alleno solo una volta a settimana ma mi impegno il più possibile perché a casa non sempre ho la possibilità di farlo – racconta con un bel sorriso sul volto -. Il Baskin mi è piaciuto fin da subito, fin dalla prima volta che vennero a farci una dimostrazione alla nostra scuola. Ricordo ancora la frase che dissi immediatamente alla mia professoressa: “Per la prima volta mi sono sentito parte di una squadra, parte di un gruppo”. È uno sport che consiglierei a tutti, in particolare ai ragazzi con disabilità che non hanno mai avuto possibilità di fare attività sportiva perché qui possono giocare, stare insieme e sentirsi accolti da questo gruppo».

Chiaramente un contesto così complesso ed eterogeneo ha bisogno di figure di riferimento che si occupino delle diverse componenti in gioco. Vi è quindi uno psicologo, un coordinatore, degli assistenti, dei tutor e, naturalmente, un allenatore che risponde al nome di Alessandro Xausa: «Da tre anni seguo l’aspetto dell’allenamento e della pratica sportiva tenendo sempre ben presente che questo non può essere solo un gioco ma, piuttosto, una ricerca di equilibrio tra le diverse componenti che abbiamo in squadra». E non si tratta affatto di assistenzialismo – come tiene a sottolineare Xausa – ma è, piuttosto, «l’idea che per fare il salto di qualità sia necessario un gruppo in cui si dà e si riceve mutuamente: perché (e qui sta il bello) non sono solo i normodotati a da

re ma, anzi, hanno tanto, tantissimo da ricevere».


Il Baskin è una realtà ancora tutta da scoprire e da promuovere (soprattutto tra i più giovani con interventi mirati presso le scuole della provincia) ma che ha già tracciato un cammino alternativo nell’universo sportivo. Un cammino nel segno della prossimità e dell’inclusione; un cammino dove le differenze sono una ricchezza e non un ostacolo; un cammino in cui un semplice canestro può regalare un sorriso. Perché, in fondo, questo è lo sport: poter sorridere.Q